Kyoji  NAGATANI

 

 

 

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K Y O J I   N A G A T A N I

di Lorenzo Bonini 

“Tra mito e rito”

Mostra personale inaugurata l’8 ottobre alla Galleria Borgogna Arte di Milano, dal 28 ottobre al 3 novembre 2003 Via visconti di Modrone,20 angolo Via Mascagni,2 Tel.+39.02.780884

Grande affluenza di pubblico e collezionisti al ritorno di Kyoji Nagatani a Milano dopo tredici anni di assenza, questo maestro della fusione è tornato ha stupirci con le sue sculture in bronzo di raffinata qualità. Puntualmente presentata in catalogo con un saggio critico da Lorenzo Bonini che ci accompagna nella lettura delle splendide opere.

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Premessa

            Un tema largamente diffuso nelle culture di tutti i tempi, è quello della madre con il figlio in grembo. Esso può rappresentare, di volta in volta, la Terra madre di tutti gli uomini nelle religioni antiche, oppure la Madonna con Gesù nella religione cristiana, la maternità in generale, il rapporto di «quella» madre con «quel» figlio.

Un esempio rilevante ci viene dalla madre con bambino, da Megara Hyblaea, un calcare alto 78 cm del 550 a.C. e custodito al Museo archeologico nazionale di Siracusa. Un altro è la statua-cinerario di madre con bambino, da Chianciano, in calcare alto 100 cm, della seconda metà del V secolo a.C. (Firenze, Museo archeologico). Il soggetto, e perfino il gesto delle mani che reggono il bambino, sono gli stessi. Nella prima statua realizzata a campana, corpo e gesto sono semplificati, rozzi, ma molto immediati ed espressivi; nella seconda etrusca (che serviva per contenere le ceneri di un defunto), lo scultore è più attento alla realtà: torna a guardare con quale fermezza e insieme con quanta delicatezza, le mani della madre reggono il corpo del bambino addormentato. Mentre il modo di raffigurare il tema della Pietà, cioè del pianto della Madonna sul corpo di Cristo morto, si diffonde dai paesi dell’Europa settentrionale anche in Italia.

 Michelangelo Buonarroti, nel 1498-99 rappresenta “La Pietà” nella raffigurazione più alta e sublime che conosciamo, ancora una volta, la madre tiene in grembo il figlio; ma questa volta non è un bambino che dorme o che gioca, è il Cristo adulto, morto, deposto dalla croce. E’ un’immagine di dolore e di disperazione; tuttavia, proprio perché la Madonna tiene sulle ginocchia il Figlio come quando era bambino, Michelangelo le fa esprimere tutta la tenerezza che c’è in quel rapporto. Quest’opera diverrà il simbolo nei secoli della sublimazione nella consapevolezza dei popoli. Carattere e proporzioni  straordinarie, esercitano un forte potere d’attrazione sulla fantasia e sul sentimento  popolare, la sacralità del soggetto è trasformata in mito dalla collettività. L’artista più prossimo e contemporaneo, che ha saputo esprimere, il concetto di mito, rinnovandolo sotto l’aspetto formale, attraverso un’opera di notevole significato laico,è stato Henry Moore che, tramite la scultura in pietra “Madre e figlio”, eseguita nel 1936 (Londra, British Council),semplificando al massimo le forme, riesce ad incarnare il legame indissolubile tra madre e figlio, rendendo l’atteggiamento della madre senza descriverlo, vigile e protettivo.

 La formazione

            Kyoji Nagatani, conosce molto bene il concetto descritto sopra, anche, perché gli studi svolti attingono molto dalla cultura occidentale e in particolare modo da quell’italiana, che è trattata diffusamente nelle Università giapponesi. Negli anni’70 visita la mostra personale di Giacomo Manzù, inaugurata a Tokyo, n’é rimase talmente affascinato, da indurlo a compiere una ricerca sulla tecnica usata dal grande maestro italiano, arrivando persino ad adottarla e praticarla nella modellazione dei suoi lavori.

In un’intervista rilasciata recentemente confidava che da bambino aveva il mito dell’Italia, conosciuta solo attraverso le illustrazioni dei libri scolastici e, la colpa di questa passione, fu dovuta al nonno e allo zio in quanto, per ragioni di lavoro, si soffermavano di frequente nelle città italiane e al loro rientro esaltavano le bellezze viste al nipote Kyoji.

Dopo le lauree nelle Università di Tokyo Zoukei e nell’Istituto Superiore di Ricerca dell’Università Statale di Tokyo, consegue il Diploma di specializzazione di fusione del bronzo presso l’Università Belle Arti di Tokyo.

Nel 1984 si diploma presso l’Accademia di Brera sotto la guida dei docenti: Enrico Manfrini e Alik Cavaliere. Ed è proprio il bronzo come materiale, con le tecniche di fusione varie e intrinseche che, appassiona Nagatani, la scelta di quel Corso Accademico si dimostrò il più adatto, proprio perché i due docenti erano insuperabili per abilità e cultura, sapevano insegnare e trasmettere ai propri allievi, i segreti di lavorazione di quella lega.

 L’Opera

                  Queste conoscenze emergono in Nagatani soprattutto quando la disciplina sente la necessità, per sviluppare la propria metodologia, di analizzare e chiarire il significato dei propri segni, diventa l’inizio dell’esigenza di rimettere in discussione la ragione e la funzione dell’arte stessa. L’opera di bronzo dal titolo: “Mutevole” del 1986 rappresenta a mio avviso nella sua completezza, l’aspetto concettuale della linguistica dell’artista. Il segno diventa la forza che agisce in un campo, i cui limiti sono i limiti della propria influenza. Tre lati, della bella lastra di bronzo a forma rettangolare, sono rifiniti e riquadrati, mentre il lato destro, risulta essere sinuoso e più grezzo, lasciato lì come premessa temporale (forse), per offrire la possibilità di un nuovo segno, come momento iniziale per logica continuità, e che ciascuno lo possa compiere.

 La linguistica del segno in quest’opera dal titolo “Illogico” si trasforma in: spaccatura, lacerazione, fenditura, è la dimostrazione dell’incompatibilità tra il segno delimitato e lo spazio.Mutando così la rappresentazione dell’ambiguità del doppio spazio, del fuori e del dentro la materia, la risposta filologica trova un riscontro perfetto con il concetto. Il compito dell’artista è soprattutto questo, Nagatani nell’eseguirlo, va a compiere quel rito che non rappresenta l’oggetto, ma, lo riproduce in una materia diversa, lo traspone e lo consacra in una dimensione metafisica: la storia, l’allegoria, il mito. Al di là, dell’accademismo illustrativo, ci troviamo di fronte alla ricerca dell’assoluto ad argomenti di un pensiero vivo che dalla superficie delle cose, scende nel profondo dell’essere.

 Mentre nella scultura di bronzo, colorata con patina scura, dal titolo: “Trono del Silenzio”; eseguita intorno al 1998, quindi a dieci anni esatti di distanza, dalla messa in opera della scultura dal titolo“Illogico” si può riscontrare, fra le due opere, l’evoluzione compiuta da Nagatani. La sua conoscenza, l’alta professionalità formatasi attraverso la pratica costante della bottega-fonderia, gli permette di dominare la materia, rendendola duttile anche nelle opere monumentali, in questa scultura (trono), dalle considerevoli dimensioni, si distingue per l’esecuzione tecnica e la levigata compiutezza dell’opera, che ne fa, una delle sue qualità fondamentali, andando ben oltre il concetto simbolico del tema, la rende parte vincolante per il fruitore, cui offre la possibilità della percezione tattile. Va ricordato, che la scultura si può utilizzare occupandola:sedersi all’interno e praticare un sit-in meditativo, mentre le mani lambiscono la superficie levigata del bronzo e, quel contatto si trasforma in una piacevole sensazione protettiva, (affettuosa) e carezzevole, tenero come le mani di una madre sanno trasmettere al proprio figlio. (vedi in premessa)

 Indubbiamente in quest’opera, il fervore religioso si unisce ad un alto senso armonico, ad una presa di coscienza diretta, della forza della natura e del diritto naturale che ne deriva. La breccia, il pertugio nella roccia, la grotta, la caverna, la grande crepa, l’anfratto, la fessura, la fenditura, lo spacco, l’apertura, rappresenta simbolicamente il luogo in cui ci si può rifugiare e riparare, oppure ritirarsi in meditazione ad ascoltare il battito silenzioso dell’universo. Va tuttavia ricordato che nell’ambito della pittura astratta, soprattutto per ciò che riguarda la corrente “del segno e del gesto” gli artisti giapponesi internazionalizzarono i concetti zen del vuoto (sunija).

La rappresentazione mentale assomma il comportamento etico e l’armonia, tra l’essere umano e la natura, ed è per questo motivo che l’opera di Nagatani, è intimamente congiunta al rito, come un modo di vivere autenticamente sentito, il Giappone ha sempre espresso nelle proprie arti soprattutto valori etici, cioè l’adesione incondizionata alla Natura che tutto regola e alla quale tutto ritorna.

L’Anima Mundi - opera eseguita nel 2002 di bronzo patinato colore bordeaux e di rilevante grandezza, è attraversata longitudinalmente da una grande breccia che le rompe (spacca) la forma ovale affusolata, dividendola in due sezioni, superiore ed inferiore, con diverse simbologie interpretative legate alla forma – navetta – spola – guscio – scafi sovrapposti –oppure ad un seme di grano per via della scannellatura, il più appropriato a identificarsi con la Terra, alimento universale che assieme al riso e alla Cultura, germogliando da origine ad una vita nuova.

Il concetto del vuoto, in quest’opera è utilizzato come valore etico.

Nagatani nella fase operatività, non si accontenta di segnare il segno, ma lo agisce, tramite la formazione di un’ampia spaccatura a breccia aperta, senza alterare il concetto prefissato della fenditura naturale. Quest’atto dà al campo una dimensione altrettanto precisa, che è quello dello spazio. L’artista ora può operare all’interno della (spazio) materia e ricostruirvi i simboli di quell’archeologia industriale fondata dal consumismo, che l’uomo così detto: moderno, lascia come testimonianza, traccia del suo passaggio (rifiuti).       

Quindi gli elementi del segno, inteso come impronta dell’uomo moderno, diventano indispensabili per spiegare la fenomenologia della produzione industriale, anche se un prodotto industriale non è a rigore, un oggetto, perché non individua nel fruitore un soggetto, è semplicemente un’unità di una serie, cui corrisponde una serie d’utenti. Diventa però un modello, e precisamente la testimonianza di un certo sviluppo tecnologico dove il campo è l’area in cui si è prodotto e diffuso, bollandola con la prova dello sviluppo.

 Ed è proprio a questa scelta che Nagatani si contrappone con l’impronta del vuoto (sunija), dell’agire, che solo l’artista può praticare e produrre, proprio perché non è riconducibile ad un’operazione legata alla produzione in serie, ma ad unicum.

  Il Racconto e la Poetica

              Al di là della concezione nelle scelte attuate, la riflessione verte soprattutto sull’elemento poetico che nell’opera agisce e la completa come spirito: “L’emblematica scultura dalla forma a chicco (grano), presto farà germogliare il proprio contenuto, e diventerà monito per tutti coloro che verranno, si mostrerà come la prova, si presenterà come il segno, comparirà orma tangibile, durerà come gesto, si conserverà segno, e tutto nascerà dal ventre della Madre Terra. La natura delle cose ama nascondersi, soprattutto nella scultura, accogliendo in sé il non visibile e, mostrando solo la struttura paradigmatica”. (L.Q.B.)

 Spesso si pensa che le arti figurative: pittura e scultura, rappresentano lo spazio nelle immagine «ferme» e non possono avere niente a che vedere con il tempo,ossia con la successione di momenti in cui si svolgono le vicende dell’uomo e del mondo.

Ed è evidente che c’è una sostanziale differenza «di fondo» tra le arti figurative e altre arti, come la musica, il teatro, i cui prodotti si sviluppano in un determinato tempo, che possiamo misurare. In molti casi però le arti figurative hanno cercato di unire lo spazio e il tempo, si pensi ad esempio al cinematografo, dove si fondano la rappresentazione dello spazio attraverso le immagini e la successione di tempi del racconto di una storia. Nelle arti figurative molte idee sono studiate per poter fondere spazio e tempo, quando gli artisti hanno dovuto affrontare il problema della narrazione. Le sculture qui elencate: «Spazio nel Silenzio»; «Dimora del Tempo»; «Intuizione del Tempo»; «Navigatore del Tempo»; «Porta della Speranza»; «Ritorno all’Origine». Sono opere diverse tra loro e dai titoli emblematici, che sfidano il fato e sono intrise di stupore, per i segreti che governano la natura,      e Kyoji Nagatani con intelligenza a partire dall’idéa progettuale per tutto il processo di fusione, ha saputo curare, trasformandole in una calzante smentita al problema.

 L’artista nella scultura di bronzo «Porta del Vento» vi ha configurato la texturizzazione di tre diversi materiali, utilizzati dall’uomo nel corso della sua storia.

Il pilastro di destra mostra la pietra lavorata e sberciata, dove l’abaco - innestato sul capitello - è raffigurato in metallo con evidente foggia tecnologica (High - Tech). Mentre, quello di sinistra è di forma conica, bombata, gonfia come vela spiegata al vento, nella parte superiore termina con un incastro a forcella piana, dove appoggia l’architrave di legno (bronzo), e su di lui: posa instabile nello spazio, una forma levigata (oggi) dal trascorrere del tempo, dal vento. L’alta tecnologia (High – Tech) confrontata con il metodo del passato, rivela e misura il passare del tempo, attraverso proprio la differenza tecnologica. Ferma troneggiante la porta sta come monumento trionfale dello spazio: evocativo vuoto che ritaglia lo spazio nello spazio universale.

 Nagatani in questa scultura «Spazio nel Silenzio», vi trasferisce tutti i simboli del rito con le gestualità,il teatro scelto per rappresentare questa cerimonia come proscenio è la cima di una montagna, dove vi sono impressi nella pura terra le tracce i calchi, di mani e braccia  dell’uomo che con le sue gestualità s’apparenta all’astrazione contemplativa.

Quell’uomo che, unendo le mani sublima la bellezza della Natura bevendo alla sua fonte.

Immagini dove l’espressiva armonia si ricarica, s’arricchisce ulteriormente d’umori e segrete pulsioni. Ora, sono appunto le immagini di questa sua fondamentale visione che Nagatani ci presenta e propone con le opere più recenti.

 Le immagini dell’arte sono sempre polivalenti, quando racchiudono in sé un autentico lievito poetico, non basta mai una sola chiave di lettura e talvolta più che di una chiave è necessario rompere la serratura, quanto più il significato è riposto e occultato dietro il moltiplicarsi delle facciate delle allusioni. La sorpresa nelle opere di Nagatani è che la loro polivalenza di suggestioni e significati, si realizza con profondità espressive.

Il carattere della sua scultura possiede un’evidenza formale, ben suggellata nella sua definizione plastica.

 In questo senso un’opera come «Ritorno all’Origine» si rivela esemplare.

L’antico e vaghissimo mito si rinnova qui nel desiderio di ritrovare l’identità delle cose perdute, con le verità naturali. Con elegante materialità, il bronzo si fa legno, con le sue venature corrose dagli eventi del tempo andato, facendosi ponte collega il presente al passato. Messa lì come limite del tempo vi è la porta, che ne segna il percorso, alludendone il passaggio per il ritorno al passato, mentre il masso di pietra, simbolo del pieno, è levato dal suo suolo, lasciandovi l’avvallamento, concavità del vuoto. Rimettere la pietra al suo posto è come tornare alle origini della Natura.

 E’ la sequenza della tematica di Kyoji Nagatani quello che ci viene incontro, dalle immagini di questa sua mostra personale, una tematica che è nata e cresciuta con lui, e si è rinnovata nella continuità, primo segno di un valore inesauribile che si rinnova senza mutare, e questo è il segno più sicuro dell’artista.

E’ il segno appunto di Nagatani. 

 LORENZO BONINI 

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Caro Nagatani, ho visto a tua mostra a Milano (col catalogo e la presentazione di Luciano Caramel). Mi ha molto interessato: evidentemente tu hai presente, insieme alla tradizione giapponese, il gusto artistico formate della scultura contemporanea in Italia. E io leggo nelle tue aste e nelle tue basi un modo di concepire e di meditare che sento vicino e che apprezzo per il rigore e l'essenzialità. New York è una città difficile e insieme profonda, inoltre abituata alla grande dimensione: io ti auguro che gli esperti siano sorpresi dalla tua qualità, come meriti, nella misura minore e nella misura maggiore delle forme.

Arnaldo Pomodoro

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La scultura di Kyoji Nagatani fiorisce artisticamente e culturalmente, in due mondi, est e verso ovest e dalla loro opposizione e interazione si genera qualcosa dalla  sensualità  unica e fragile . Dal suo paese d'origine, il Giappone, riceve  una squisita poetica  della forma compatto come un haiku. Questo aspetto  della sua espressività  incoraggia  associazioni di intimità  e di discorso soggettivo.  Ha deciso di vivere nell'ovest, dall'altra parte del mondo. Si è nutrito degli elementi più rischiosi e più dinamici: contrasti  sorprendenti di grossolanità e raffinatezza  e, a volte, con l'ambizione alla moda di una forma monumentale modulata da una vera tradizione italiana  di dettagli finemente  formati  in fusioni di bronzo  lucidissime che ricordano i passaggi più eleganti delle grandi sculture di Arnaldo Pomodoro. Diversamente da  Pomodoro, tuttavia, Nagatani non fa il tentativo di abbracciare visivamente o filosoficamente le forme di macchine o di tecnologia moderna in quanto tali.  Alla l radice delle sue forme  avvertiamo piuttosto la presenza profonda e calma del paesaggio naturale e di una natura poetica. 

SAM HUNTER 

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Gli avvii di Kyoli Nagatani, in patria in Giappone, sono sotto il segno dell'influenza della cultura occidentale, Manzù, in particolare, lo affascina. Ne conosce l'opera direttamente, in una mostra a Tokyo, e ne riprende la tematica e le caratteristiche di modellazione: fanciulle fissate in un momento di vita, determinato dalla bellezza e dalla quiete; superfici e volumi trasformate dalla dolce levità del tocco in palpitanti carnosità, con però quel  qualcosa di definitivo, di non transeunte dato dall'indurirsi dei metallo. E sono appunto, soprattutto, le possibilità delle tecniche di fusione ad interessare Nagatani negli anni seguenti, mentre va attenuandosi l'attrazione per immagini troppo descrittive, troppo attente al
particolare, come lui, andava riscoprendo  il bisogno, tutto orientale, di dar forma all'essenza. Ecco, quindi, lo slittamento su studi puntigliosa mente attenti ai materiali ed al loro trattamento, fino alla scelta della specializzazione,  dopo le lauree nell'università di Tokyo Zoukei e nell'istituto Superiore di Ricerca dell'Università Statale della medesima città, proprio nella fusione in bronzo. Scelta solo apparentemente riduttiva, e non da interpretare in senso solo meccanico artigianale. Il focalizzarsi sul momento febbrile è invece segno dei fissarsi sulla ricerca delle valenze significanti della materia - forma, al di quà di effusioni aneddotiche, e della materia stessa.
Significativo, in questo senso, che Nagatani, giunto in Italia nel 1979 per un primo soggiorno, si iscrive a Brera alla scuola di Manfrini, esperto quant'altri mai in tutto quanto la realizzazione concreta della scultura concerne, e prodigo nello svelare agli alunni ogni segreto dei mestiere. Ecco le sperimentazioni sui sistemi di fusione "all'italiana", sulla microfusione, sulla fusione in alluminio, in lavori volta a volta "figurativi" o no, anche per ragioni interne ai processi formativi, e con un sostanziale disinteresse per le componenti stilistiche. Così, ad esempio, realizza i primi anni '80 delle strutture geometriche di inclinazione costruttivista, non però per scelta espressiva, invece esclusivamente per motivazioni conseguenti alla ricerca sull'alluminio.  Siffatto puntiglioso apprendistato non è peraltro rimasto fine a se stesso. Presto giunge il momento in cui l'acquisita abilità strumentale viene finalmente utilizzata a fini creativi: per dar forma all'invisibile, se mi si concede di utilizzare una formula che mi è cara. Ovviamente, in Nagatani, in una direzione profondamente influenzata dal pensiero, e dalla spiritualità, orientale, come termpestivamente ebbe a  sottolineare Gianfranco Bellora introducendo tre anni fa la mostra dell'artista allo Studio Annunciata coi richiamo puntuale alla filosofia Zen, al fondersi di forma e spirito "per dare corpo a concetti emblematici universali, con l'annullarsi della "coscienza dei tempo" nell'enuclearsi di "passato e futuro nell'eterno presente dell'illusoria sublimazione dell'esistenza. Questo a cominciare dalla decisione medesima di utilizzare certe materie invece che altre, o certe patine, prima ancora di addentrarsi nella definizione della forma. Perché, in un certo senso, materia e colore già sono forma, o almeno di essa sono una componente tutt'altro che ininfluente. Di qui talora l'adozione della porcellana, per la sua trasparenza, essenzialità, morbidezza, attributi all'apparenza contraddicenti la compattezza e durezza ottenuti dal mescolarsi di caolino, feldspato, pazzo e argilla, e invece connotati differenti d'una realtà unica, varia e complessa, come ogni realtà; oppure dei bronzo lucidato ancora realizzante la duplicità di sostanza e leggerezza, di volumetrica consistenza e di impalpabile evanescenza. 
Ma la metamorfica imprendibilità delle superfici specchianti consente anche il riflettersi della resenza di chi guarda, che interferisce così con l'assoluta politezza delle forme. Ed il riflettersi apre la strada al riflettere. Con l'infiltrarsi sottile, e determinante, di contenuti, simboli, nella materia-forma realizzantisi. Di qui il fascino sottile, la magia, l'intrigante proporsi delle sculture di Nagatani, giunto ormai, come questa nuova mostra documenta, alla piena padronanza dei suoi mezzi, fino a potersi dimenticare dell'abilità formativa, ed usarla quindi senza denunciarla, senza esserne appesantito. Certo, per potere capire le opere dell'artista, bisogna non attestarsi sulla forma, andare oltre il linguaggio: entro di essi, tuttavia, sempre, come già si è detto. Scartata una lettura stilistica, o di esterna comunicatività, narrativa o peggio illustrativa, bisogna lasciarsi catturare dall'immagine, affondare in essa. E allora si potrà avvertire il messaggio-meditazione sulla vita e sulla morte, sul presente e sul suo interferire col passato e col futuro, sul corpo e sullo spirito, sul bene e sul male, sulla serenità e sull'angoscia, sui limiti del contingente e sul loro superamento nella ricerca dell'equilibrio dello spi!ito, sul fenomeno e quanto lo travalica, in una dimensione anche ontologica. Mai peraltro con una sovrapposizione forzosa di significati, da cercare direttamente nei lucidi, luminosi piani, nelle fessure-fratture che li incidono, negli spigoli netti e nei bordi slabbrati, nelle geometrie che interventi organici mettono in discussione nella loro astrazione, corrodendoli, segnandoli, nei coni, nelle piramidi mozzate, nei negativi e positivi, impronte, tracce ed elevazioni, scatti verso un alto che non è meramente quantitativo.

Luciano Caramel
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